Una giornata speciale con Rodrigo Amarante

Barba lunga e occhi profondi, Rodrigo Amarante, è esattamente come lo immaginavo: un artista vero, umile e con una grande umanità. Il cantautore e musicista brasiliano autore di, Tuyo, sigla dell’amatissima serie Netflix, Narcos, mi viene incontro interamente vestito di bianco, e come se ci conoscessimo da una vita ci salutiamo con un abbraccio. Se credessi al destino direi che è stato quello a farci incrociare in questa vita. Un incontro magico che il caso ha voluto coincidesse con la mia scelta di tradurre e cantare in napoletano, Tuyo, canzone che ho amato al primo ascolto, come Cavalo, il suo album d’esordio da solista. E allora quando mi è stato proposto di intervistarlo, nel giorno dell’eclissi lunare più lunga del secolo, non c’ho pensato due volte e sono partito per Locorotondo in Puglia. Rodrigo Amarante è stato in Italia per una serie di live, accompagnato al piano dalla bellissima Natalie Bergman, cantante dei Wild Belle. Il Locus Festival è stato il suo penultimo concerto, a cui è seguito Vasto. Gli ultimi due giorni in Italia, prima di ripartire per gli Stati Uniti, li hanno voluti passare a Napoli. E per l’occasione ci siamo rivisti, dopo un breve giro in centro, li ho portati a mangiare la pizza di Sorbillo e il babà e la sfogliatella di Scaturchio.
Nel presentarmi insieme alla mia amica, Angela Teresa Girolamo, che mi ha fatto da interprete, gli ho offerto dei datterini pugliesi gialli e rossi, perché in una intervista avevo letto del suo amore per i pomodori. E lui stupito mi ringrazia e impazzisce mangiandone uno, dopodiché gli dico che sono il cantante di una band di Scampia, che ha appena tradotto la sua canzone in napoletano, e gli faccio ascoltare la nostra versione di Tuyo. Gli occhi gli ridono e così inizia la nostra chiacchierata.

Se la tua musica fosse un piatto, che tipo di piatto sarebbe?
Sarebbe uno stufato, una sorta di zuppa con olio di palma originario dell’Africa, latte di cocco, coriandolo,
molto pepe, calamari.

Dolce e piccante, speziato.
Sì, dolce e piccante, con un po’ di lime alla fine. Molto leggero ma caldo… (sorride)

Durante la giornata, qual è la cosa di cui non puoi proprio fare a meno?
Bella domanda… è un cliché, ma scrivere un po’, mi spinge ad andare avanti, anche solo un verso o una piccola cosa. Se lo faccio sento che la mia giornata ha avuto un senso. Mi sento molto fortunato nel fare ciò che faccio e non lo do mai per scontato, e per questo penso ogni giorno di dover dare qualcosa in cambio, provando a fare qualcosa per tutti. So che è sciocco, perché scrivo canzoni ma io spero che la mia musica possa aiutare qualcuno anche solo regalandogli il sorriso.

È una missione per te…

Cosa ne pensi della serie Narcos?
Penso sia utile, perché le più grandi storie sui “mostri” mirano sempre a renderli umani, in modo che noi possiamo vedere il mostro che abbiamo dentro. E questo penso sia il bello. Ogni uomo, ogni donna, ogni figlio è un nostro figlio, ogni vecchio è nostro padre, per questo dobbiamo trattare ogni persona in modo umano. Per questo, sebbene Pablo Escobar fosse un mostro terribile… lo scopo di quella storia dovrebbe essere quello non di separare mai noi stessi dal mostro, ma contestualizzare e provare a comprendere cosa abbiamo fatto noi per produrre quel mostro.

Rendendolo umano non si rischia di mitizzare ancora di più la sua figura?
Sì, potrebbe accadere che facendolo si celebri il gangster. E non dovremmo mai celebrare la violenza, io ho provato con la mia canzone a dare a questo mostro un cuore. Faccio un esempio: Donald Trump, il più discusso personaggio cui si possa pensare è una persona orribile. Ma gli Stati Uniti devono capire che Donald Trump è il risultato della loro cultura. Dobbiamo pensare che Donald Trump è stato un “nostro” bambino, dell’America (io non sono americano, ma sono abituato a considerarmi un uomo prima di tutto), quale cultura produce un bambino del genere? È a questo che dovremmo pensare e sentirne la responsabilità. La missione è guardare al futuro, porre il focus sui bambini di oggi.

Il primo album della mia band si chiama ’A camorra song’io.
E’ così. Tu così fai acquisire responsabilità.

Hai scritto “Tuyo” pensando a una canzone che la madre di Pablo avrebbe potuto ascoltare quando Pablo era bambino.
Quel che intendevo fare era tornare indietro, per vedere Pablo bambino, e capire cosa ha portato Pablo ad essere Escobar, cosa è accaduto nel suo cuore di bambino. Credo che Pablo volesse diventare l’uomo che sua madre voleva che fosse, voleva diventare l’uomo “di sua madre”. E sua madre era una persona dura, diceva a Pablo, secondo me: “Non credere a nessuno. Non ti fidare di nessuno. Prenditi ciò che vuoi”. Quindi, io ho dato a lei la responsabilità, e in quel senso, ho dato ad ognuno di noi la responsabilità: noi cresciamo i nostri figli, in qualità di famiglia e di Stato.

Come ti relazioni ai social?
Non molto. Non mi relaziono, a me piace questo (gesto ampio per dire che ama conoscere le persone da vicino). Per noi musicisti, artisti, è una piattaforma per far conoscere quello che facciamo, ma non penso sia una cosa buona per comunicare.

Eri già stato in Italia?
Sono venuto poche volte e in una di queste ho guidato da Milano a Napoli, mangiando e ingrassando moltissimo (ride indicando la pancia), e provando a imparare un po’ di italiano. Lo capisco un po’.

Qual è la città che preferisci, in Italia, e perché?
Potrebbe sembrare che io voglia compiacerti, ma Napoli è la mia preferita. Forse perché la mia famiglia proviene dal sud Italia e da Napoli – la mia bisnonna era napoletano e il bisnonno siciliano – e quando sono stato a Napoli potevo sentire il senso di umanità, nei modi, nella parlata, nel cibo.

Uno scrittore napoletano, Maurizio de Giovanni dice che Napoli è una città sudamericana innestata in Italia, perché è più simile a Rio de Janeiro o a Buenos Aires che non alle città del nord Italia.
Sì, è così, e si sente.

Qual è il tuo piatto italiano preferito?
Mi piace mangiare le specialità di ciascun posto in cui vado. Per esempio, non avevo mai assaggiato la bottarga, e in Sardegna l’ho fatto. È questo quel che mi piace: scoprire sapori che non conosco.

Che tipo di musica ascolti?
Tutti i tipi, mi piace molto la musica d’annata, folk, africana, latina, mediorientale. La musica che c’era prima dei cambiamenti globali, perché in quella posso assaporare gli accenti, i ritmi, le melodie nelle loro espressioni originali.

Qual è la cosa più strana che ti è successa a seguito del successo di “Tuyo”?
Un remix in stile elettronico, e la cosa più strana è che questo deejay che l’ha fatto, l’ha chiamato “Fuego” dicendo che fosse una sua canzone. E poi non è una canzone, dopo le prime tre parole s’interrompe il testo e parte la base dance. Alla fine non m’importa, io faccio la mia parte.

Il tuo primo album solista è molto intimo. Preferisci produrre da solista o in gruppo?
Ho avuto diverse band per i primi quindici anni di carriera, Los Hermanos, Orquestra Imperial, Little Joy. Quando ho potuto fare qualcosa da solo sono stato molto felice, perché potevo controllare tutto, gli arrangiamenti, l’esecuzione, ecc. Ho imparato a lavorare da solo, ma dopo tutto mi manca il dialogo, l’ esprimere le mie idee ai miei colleghi e capire da loro se sono buone, lavorare insieme è più divertente. Per questo mi piacciono entrambe le cose. La cosa interessante è che quando ho un’idea, se non l’esprimo a qualcuno è come se non conoscessi davvero quell’idea. Ho bisogno di esprimere l’idea a qualcuno per capirla e conoscerla davvero. E ciò che esprimo non deve essere ben strutturato o qualcosa andrà perso nel momento stesso in cui cerco di comunicarla.

Hai vissuto per anni in America, hai mai pensato di tornare in Brasile?
Sì, ma so di avere qualcosa di più importante da fare, mi piace pensare che il mio lavoro sia una missione, so che è sciocco, “Naif”, ma io lo sento così, devo andare dove è necessario.

Cosa ti manca di più del tuo Paese?
La mia famiglia, mia sorella e il mio migliore amico, il modo in cui ridiamo, in cui suoniamo, beviamo… mi manca davvero molto.

Se dovessi descriverti con tre parole, quali sceglieresti?
“Singer pretending to write”, un cantante che fa finta di scrivere.