A distanza di 25 anni il suono degli Almamegretta continua a sanare il cuore di Napoli.

L’appuntamento è alle 16.00 fuori allo stadio San Siro. Gennaro ha 13 anni, è napoletano ma dall’età di 4 vive a Vignate, in provincia di Milano, e, da una settimana, fa la colletta per apparare 4000 lire, tanto costa il biglietto per andare a vedere i suoi idoli in concerto: Bob Marley e Pino Daniele.

È il 27 giugno 1980 e oltre a Pino, con James Senese e Tony Esposito, ad aprire il Re del reggae c’è la chitarra blues di Roberto Ciotti e il funk della Average White Band. L’adrenalina è alle stelle, una scarica di Funk, Blues e Reggae entrerà nelle vene di Gennaro per non uscirne mai più. Gennaro Della Volpe è il nome del bambino e, quindici anni dopo, nel 1995, diventato Raiz con il suo gruppo, gli Almamegretta, inciderà uno dei dischi italiani più belli e importanti degli anni Novanta: Sanacore. Un album dal sound claustrofobico, un suono che divora se stesso, una voce che, a distanza di 25 anni, continua a parlarci dal di dentro. Concepito a Procida, Sanacore, è stato il manifesto di una Napoli aperta e cosmopolita dove l’identità non era una bandiera da sventolare, ma una barca che attraversava il mediterraneo per arrivare fino in Jamaica. “Nun te scurdà” è la sintesi perfetta tra Bob Marley e Pino Daniele. A testimoniare l’essenza della band, sospesa tra modernità e tradizione, nella titletrack troviamo la voce carnale di Giulietta Sacco. E poi la collaborazione con il poeta, Salvatore Palomba, che firma il testo di “Pe’ dint’ ‘e viche addo’ nun trase ‘o mare”. Un disco che è stato una promessa, l’oggettivazione di un sentire comune, la consapevolezza che un’altra strada era ed è possibile. L’amore “nemico”, la libertà del fiore senza radici, la lotta all’intolleranza raziale con il ricordo dell’incendio dell’11 luglio 1993 a Villa Literno. Un viaggio in giro per il mondo, per sanare e suonare il cuore vivo della sirena Partenope, senza mai dimenticare le proprie radici, perché “’O sciore cchiu felice / È ‘o sciore senza radice / Corre comme ‘o cane senza fune / ‘O sciore senza padrune”.

I cancelli si aprono e Gennaro corre sotto al palco, alla fine del concerto non sarà più quello di prima.

Quanto ha inciso sulla tua musica, il concerto di Bob Marley a Milano aperto da Pino Daniele?

Avevo tredici anni, ed evidentemente quel concerto ha lasciato un’importante traccia nella mia giovane coscienza musicale. Sicuramente all’epoca non ci avrei creduto se mi avessero detto che anni dopo avrei contribuito a formare una band in cui si fondevano gli ascolti dei due artisti.

Che effetto vi ha fatto riaprire le vecchie sessioni del disco?

Non abbiamo aperto le session di Sanacore, ci siamo limitati a remasterizzare il master. Purtroppo per vicende legate alla proprietà dei nastri non abbiamo potuto avere accesso alle registrazioni originali. È stato però molto emozionante cercare – con l’aiuto di Giovanni Versari che ha fatto il lavoro – di evidenziare elementi sonori che nella masterizzazione originale erano un po’ occultati a causa sia dallo stato dell’arte della tecnica del 1995, sia dall’approccio più “italiano” del fonico della RCA che lo portò a termine.

Come è cambiata Napoli in questi 25 anni?

Venticinque anni fa la città si preparava al grande cambiamento. I riflettori erano tutti puntati su quello che stava succedendo sia in politica, con l’amministrazione di Antonio Bassolino, sia in campo culturale e artistico. In quegli anni Napoli si proponeva di tornare a essere una grande capitale del mediterraneo e di avvalersi del suo naturale passaporto cosmopolita per farsi sentire di nuovo. Ci sentivamo parte di un movimento globale che metteva a disposizione la propria particolarità per aprire confronti e creare nuove mescolanze. Oggi la città mi sembra un po’ appiattita su un identitarismo senza troppo spessore che rischia di replicare se stesso e diventare mera conservazione.

Cosa resta di quel suono e di quegli anni?

Di quel suono resta la forza dirompente che ha rotto molti argini, dando la possibilità di esprimersi agli artisti che rappresentano il suono odierno della città.

Un disco che continua a vendere, come ti spieghi tutto questo amore?

Sanacore esce di nuovo dopo venticinque anni e vende copie fisiche grazie all’affetto della nostra fan base che anche tra le mille traversie e contraddizioni della band non si è mai sentita tradita. È una pietra miliare, un punto di arrivo per noi e partenza per molti altri. Mentre lo facevamo pensavamo solo ad accontentare noi stessi e i nostri fans offrendo un prodotto senza compromessi e dal suono radicale come quello delle produzioni che ascoltavamo all’epoca. Riascoltandolo oggi, mi rendo conto che vive una sua vita indipendente anche dalla nostra. Sembra presuntuoso forse che lo dica proprio io che ho scritto tutte le canzoni ma è diventato un classico. Rappresenta, insieme ad altri, un preciso momento della vita cittadina.

Nella nuova edizione sono presenti anche due inediti.

Tamms Dub e Heartical sono in realtà stati composti qualche anno dopo, durante la preproduzione di Lingo. Furono scartati perchè l’orientamento del disco era molto diverso e i pezzi appartenevano ancora all’onda creativa di Sanacore. Questo è il motivo per il quale li abbiamo inclusi nell’edizione 2020. Gli abbiamo dato la seconda opportunità che non avrebbero potuto avere al tempo.

Quello che voi avete fatto col Dub è quello che Pino Daniele ha fatto col blues ovvero provare a mischiare: suoni e voci del mediterraneo senza mai perdere la propria identità, creandone una nuova.

Crediamo ancora fermamente nel fatto che le diversità debbano convivere senza scontrarsi. Su questa idea politica abbiamo costruito la nostra musica. O viceversa.